Francesco Morosini, anche noto come il Peloponnesiaco (Venezia, 26 febbraio 1619 – Nauplia, 6 gennaio 1694), è stato il 108º doge della Repubblica di Venezia, dal 3 aprile 1688 fino alla sua morte. Venne nominato per ben 4 volte Capitano Generale da Mar e successivamente Doge. L’11 agosto 1687, per i meriti ottenuti sul campo di battaglia, ottenne un monumento in bronzo dal Senato veneziano, unico esempio nella storia della Repubblica di Venezia di persona che ebbe questo onore ancora in vita; tale opera è posta all’interno dell’armeria del Consiglio dei Dieci a Palazzo Ducale. L’iscrizione sotto al busto riportava: “Il Senato a Francesco Morosini, il Peloponnesiaco, ancora in vita”. Fu un grandissimo stratega navale, mise in atto azioni militari ardite e coraggiose e non venne mai sconfitto.
Apparteneva alla famiglia “Dalla Banda”, con palazzo in campo Santa Marina, i cui membri erano chiamati “Sguardolini” perché rossi di capelli. Figlio di Pietro e di Maria Morosini, la sua vita, secondo le cronache dell’epoca, fu sconvolta in tenerissima età dalla morte della madre in circostanze molto sospette. Le indagini non condussero a nulla e il caso venne chiuso, ma forse questo episodio e il successivo rapporto difficile con la nuova matrigna Laura Priuli fecero nascere in lui uno spirito ribelle e militaresco. Con il secondo matrimonio del padre, nella dote vi era il Palazzo di Campo Santo Stefano, dove la famiglia si trasferì. L’importante legame di parentela gli facilitò sicuramente l’ingresso nella flotta della Repubblica veneziana su una galea comandata dal suo secondo cugino Pietro Badoer, ammiraglio a Candia. Fu un soldato talmente preso dalla vita militare che non si sposò mai.
Della sua lunga carriera militare ricordiamo che:
Nel 1638 partecipò alla battaglia di Valona, dove i veneziani distrussero la flotta dei pirati algerini e tunisini e la fortezza di Valona.
Durante la Guerra di Candia (1645 – 1669) che ricordiamo perché, al termine dell’assedio da parte dei turchi, perduta quasi interamente l’isola di Creta, rimase ai veneziani solo la città di Candia, la capitale, egli venne nominato comandante delle forze terrestri della città per ben due volte (1646-1661 e 1667-1669) e grazie al suo forte carisma, riuscì a spronare ed animare le sue truppe a tal punto da riuscire a farle resistere per ben 23 anni. Il 6 settembre 1669, vista l’oggettiva impossibilità di proseguire la resistenza, il Morosini firmò la pace con il nemico e cedette la città, ormai abitata da poche migliaia di persone. Per via della strenua resistenza di Candia, i veneziani ottennero una pace a condizioni onorevoli: i superstiti poterono abbandonare la città con l’onore delle armi e delle bandiere e mantenere la loro artiglieria; la Repubblica, dietro pagamento di una somma in danaro, conservò a Creta le fortezze della Suda, di Spinalonga e Carabusa e ottenne Clissa in Dalmazia. Infine i turchi si impegnarono a non entrare nella città se non in capo a 12 giorni, e a lasciar partire liberamente tutti coloro che lo volevano.
Morosini riusci a salvare quello che restava dell’esercito, l’archivio (che ora si trova nella Basilica dei Frari) e l’icona della chiesa di San Tito (che si trova nella basilica di Santa Maria della Salute). La sua eccessiva autonomia (e un uso disinvolto del denaro pubblico) gli costò un processo nel 1670 per insubordinazione ed appropriazione indebita, da cui, però, uscì scagionato. Con la fine della guerra e la relativa calma che ne seguì, venne trasferito per qualche tempo in Friuli.
Nel 1647 forzò il porto di Chio, dove erano attraccate 80 galere ottomane, 5 vascelli algerini e 5 navi mercantili maone. Fece cannoneggiare le navi e mandò un contingente a terra che riuscì a distruggere la batteria di difesa. Successivamente attaccò il porto di Çeşme, dove incendiò un’intera flotta di navi leggere da combattimento.
Nella Guerra di Morea – Peloponneso del sud (1684 – 1699)
La Repubblica, pur prostrata economicamente e militarmente, non accettando il trattato di pace del 1669, colse al balzo l’occasione offerta dall’entrata in guerra della Turchia contro l’Austria nel 1683 ed allestì una flotta per vendicarsi degli affronti subiti. Il Morosini, uno degli ultimi grandi comandanti veneziani, venne subito nominato a capo di essa. Negli anni che seguirono (1683-1687), con una flotta relativamente piccola e con equipaggi di media qualità, riuscì a compiere imprese mirabili, con conquiste di isole e fortezze ritenute imprendibili. Per le ardite operazioni su terraferma, il Morosini prediligeva le truppe dei Fanti da Mar (i cui attuali eredi sono i Lagunari dell’Esercito Italiano).
Le vittorie nel Mar Meditteraneo contro i turchi si susseguirono con numerose conquiste Ed occupò nel 1687 quasi tutto il Peloponneso. La successiva pace di Carlowitz sancì la consegna del Peloponneso alla Repubblica di Venezia. Nel 1687 riportò a Venezia come bottino di guerra alcune sculture antiche: le più note sono i Leoni del Pireo, originali d’arte greca considerati allora come immagini di particolare significato simbolico, anche per l’immediata assimilazione al Leone di San Marco; vennero collocati accanto alla Porta da Terra dell’Arsenale, cuore della produzione navale e nucleo della potenza marittima della Repubblica.
Per quanto riguarda il dogato, benchè rifiutata una candidatura nel 1684, alla morte di Marcantonio Giustinian (23 marzo 1688), il 3 aprile del 1688 venne eletto doge. La notizia gli giunse durante un assedio e, per onorarlo, la sua incoronazione avvenne tra i suoi soldati entusiasti. Tornato a Venezia solo nel 1691, il Morosini, stanco dopo tante spedizioni, poté godere di trattamenti di favore e privilegi mai concessi in precedenza.
Durante questo periodo si osservò in lui una certa vanità eccessiva, che offuscò un po’ la fama di grande uomo che aveva ottenuto con le sue vittorie, fama confermata nel 1689 dal dono dello stocco pontificio da parte del conterraneo papa Alessandro VIII, oggi conservato nel Tesoro di San Marco.
Ma la sua carriera militare non era finita, infatti nel maggio 1693 partì da Venezia con la sua flotta tra ali osannanti di folla, e subito si gettò a capofitto in battaglie ed assedi, riprendendo a vincere; ma l’età sopravanzava ed egli non riusciva più a reggere il peso fisico e morale d’una spedizione militare. Ammalatosi, venne portato nella città peloponnesiaca di Nauplia, dove morì il 6 gennaio 1694 a quasi 75 anni. I suoi organi interni furono sepolti nella chiesa di Sant’Antonio a Nauplia, il suo corpo nella chiesa di Santo Stefano a Venezia. Nel suo testamento lasciò la sua fortuna ai figli dei fratelli, non avendo egli discendenti diretti, solo a patto che chiamassero Francesco tutti i loro figli maschi per sempre, ultimo segno d’una vanità che viaggiava di pari passo al suo coraggio.