Come riporta la ormai famosa “Guida del forestiero per la Venezia Antica del 1842” quel temibile corsaro visse per qualche tempo nel cimitero dei frati eremitani di santo Stefano; oggi quel cimitero non esiste più avendo lasciato il posto, nel 1838, per cessione dell’area al Municipio di Venezia (essendo ormai il cimitero vetusto e inagibile) al Campiello Novo o dei Morti. Su questo campiello tornerò a parlare domani con la seconda parte di questo approfondimento.
Tornando a quello che ci viene raccontato nella guida sopra indicata, i fatti di cui parliamo si svolsero nell’anno 1490 (rammentate sempre che la grammatica è quello del 1842):
“Dopo aver corso costui (Paolo da Campo) l’Adriatico per anni molti, terribile rendendosi per ammazzamenti e per prede, catturato, finalmente, nel 1490 dal capitano delle navi della Repubblica Tommaso Zeno, o spontaneamente, come altri vogliono, sottomessosi al giudizio della Signoria, giugneva a Venezia. Liberato con una pena temporale dalla morte che giustamente avrebbe meritato, vestivasi Paolo di rozzissima tunica, per sua stanza scegliendo il detto cimitero, in cui sedeva e dormiva sopra i teschi e le ossa dei morti, digiunando, macerandosi, ed esortando gli altri ad abbominare il vizio, e ad accendersi dell’amor divino. Maravigliava quindi il popolo per un tale e così rapido mutamento di vita, dicendosi a voce comune, che Paolo, terror prima degli uomini, era divenuto terror dei demoni: nientedimeno non pochi assennati ed accorti eranvi, che non prestavano troppa fede alla santità di lui. Di fatto, ottenuta egli nella detta guisa la fiducia e la estimazione del volgo, gettava all’improvviso il cappuccio, e saliva la galea di un Melchiorre Trevisano, per andare a combattere, come diceva egli, contro i Turchi. Ma frodolenta, infame anzi, era anche questa nuova risoluzione di Paolo: perciocchè, siccome sembra, e come lo scrive nei suoi Diarii Marin Sanuto, contemporaneo, non recavasi già quell’ipocrita eremita a combattere il turco, ma invece davasi a lui, e diveniva sua spia.
”All’erta dunque co graffiasanti, imperocchè, per lo più, ove stanno, certo v’abbaia la volpe.”