Vi è a Venezia la casa di Francesco Petrarca, poprio quel poeta, filosofo e scrittore nato ad Arezzo il 20 luglio 1304 e passato a miglior Vita ad Arquà (ora Arquà Petrarca in provincia della bellissima Padova) il 19 luglio 1374. Ordunque, la Casa di Francesco Petrarca a Venezia, ovvero Palazzo Molina o Palazzo de Due Torri, anche detto Palazzo Navager, è un palazzo in stile gotico situato sulla Riva degli Schiavoni al n. 4145 nel sestiere di Castello, adiacente al Ponte del Sepolcro, precedentemente chiamato Ponte di Ca’ Navager. Il palazzo in origine apparteneva alla famiglia Navager, ed infatti il loro scudo araldico è scolpito sul pozzo nel cortile interno. Il desiderio di vivere a Venezia venne a Petrarca per la sua profonda ammirazione per la Serenissima che considerava “il miracolo della civitas”. A Venezia il poeta aveva molti amici tra cui il Gran Cancelliere Benintendi de Ravagnani il quale si profuse per stabilire la donazione della Biblioteca di Petrarca per la Biblioteca di San Marco, anche se purtroppo molti dei testi andarono persi.
La nostra, ormai immancabile, “Guida del forestiero per Venezia antica del 1842” questo, testualmente, ci racconta:
“Casa di Francesco Petrarca, cioè il palazzo delle due torri dei Molin, destinato dalla Repubblica ad alloggiamento di messere Francesco, quando esso qua venne, nel 1363, ambasciatore dei principi di Milano. « Stando io per avventura, » così scriveva lo stesso Petrarca a un Pietro Bolognese suo amico, « e stando io per avventura alla finestra alli 4 di giugno di questo anno 1364 quasi su le 18 ore, et guardando in alto mare, et essendo con meco un mio già fratello, et ora padre amantissimo, arcivescovo di Patrasso, il quale volendo passar nel principio dell’autunno alla sede sua, se ne sta questa state qui con meco in casa sua, che è chiamata mia, vedendo entrar in porto una galea tutta ornata di frondi, subito ci avvisammo, che fosse augurio di lieta novella etc. »
La galea, che Petrarca veduto aveva dalla finestra della sua casa era quella di Pietro Soranzo spedito dal generale Michiel a recar la nuova a Venezia della sommessione della ribelle colonia di Candia, operata da Luchino del Verme, comandante delle truppe di sbarco della Repubblica. Appresso, nel principio cioè del XV secolo, Elena Celsi, vedova di un Marco Vioni, patrizio, divenuta proprietaria del detto palazzo delle due torri, voleva, testando, che la metà di quello destinata fosse ad ospiziare povere e pie donne, l’altra a ricetto delle molte pellegrine che qua allora giugnevano per recarsi alla visita dei santuarii d’Italia e di Palestina. Accolta, alla fine del detto secolo, nell’Ospizio delle povere donne Beatrice Veniera, vaghissima giovane, e Polissena Premarin, che nella espugnazione memoranda di Negroponte perduto aveano, una tutti i parenti, l’altra il marito trucidati dai Turchi, un Orsola Usnago e una Maria da Canale univansi ad esse per formare così un monistero di suore, che detto fu del Sepolcro per avervisi eretto un grande Sepolcro di marmo, a similitudine di quello di Gerusalemme, che stranamente ingombrava la chiesa tutta”.
Qualche nota storica:
Nel 1362 si recò a Venezia, città dove si trovava il caro amico Donato degli Albanzani e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni) in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d’Europa: si tratta della prima testimonianza di un progetto di “bibliotheca publica”.
La casa veneziana fu molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini quotidiane (la lettera è datata intorno al 1364/65). Vi risiedette stabilmente fino al 1368 (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospitò Giovanni Boccaccio e Leonzio Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia naturale Francesca (sposatasi nel 1361 con il milanese Francescuolo da Brossano), Petrarca decise di affidare al copista Giovanni Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere.

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