Sfogliando il tomo delle “Curiosità veneziane, ovvero origine delle denominazioni stradali di Venezia” dell’Ill.mo dottor Giuseppe Tassini del 1872, giungiamo oggi a San Geremia. Nell’interessante capitolo viene anche fatta menzione del peccato carnale commesso nientemeno che da Marzio Marzi de Medici, vescovo di Marsico e delle cacce di tori (oggigiorno alquanto discutibili) che in Campo San Geremia ebbero a svolgersi.
Ovviamente rammento che la grammatica del testo è quella della fine dell’Ottocento…
S. GEREMIA (Parrocchia, Salizzada, Campo, Traghetto).
“Si attribuisce dai più la fondazione della chiesa di S. Geremia a Mauro Tosello, o Marco Torcello, ed a Bartolammeo di lui figlio, nel secolo XI. Ebbe una rifabbrica per opera del doge Sebastiano Ziani nel 1174, come ben nota il Gallicciolli, e non, come vorrebbe il Corner, nel 1223, epoca in cui lo Ziani era già morto. Fu poi consecrata nel 1292, locchè appare da una iscrizione tuttora superstite, incastrata in uno dei piloni verso la porta maggiore. Finalmente nel 1753 venne rialzata di pianta sul disegno del prete Carlo Corbellini, e più tardi nuovamente consecrata per mano del patriarca Jacopo Monico. Nel 1871 se ne costrusse la facciata che guarda il canale di Cannaregio a merito e dispendio del barone Pasquale Revoltella, decesso nel
1869. Questa chiesa, fino dalla sua prima rifabbrica, figurava fra le parrocchiali. Nel 1810 se ne ampliò il circondario coll’aggiunta di quello di S. Lucia, e di porzione dell’altro di S. Leonardo, parrocchie allora soppresse.
Accanto alla chiesa havvi il fabbricato destinato alle riduzioni della confraternita della B. V. del Suffragio dei Morti, detto volgarmente di S. Veneranda. Essa fino dal 1615 radunavasi in chiesa di S. Geremia all’altare della B. V. del Popolo, e nel 1658 costrusse, a spese della famiglia Savorgnan, il presente edificio, che, incendiato durante l’assedio del 1849 per la caduta di una bomba, venne poscia ricostrutto.
Vuolsi che in parrocchia di S. Geremia avesse principio il seminario patriarcale, stanziato oggidì alla Salute. Egli è certo che nei registri della chiesa, ove si parla d’alcuni porrocchiani (parrocchiani ndr) defunti, leggesi: in Calle del Forno in faccia il seminario, vicino al seminario, per mezzo il seminario. Quando esso venisse fondato s’ignora; scorgesi soltanto nel libro di cassa della Scuola del SS. che dal 1584 al 1589 il Guardiano era solito comperare alcune candele pei cherici del seminario di S. Geremia, che dovevano intervenire alla processione del Venerdì Santo. Dopo il 1589 non havvi altra annotazione di tal fatto. L’autore però delle Vite e Memorie dei Santi spettanti alle Chiese e Diocesi di Venezia, dal quale ricavammo le surriferite notizie, è di parere che il seminario di S. Geremia non servisse che pei cherici ascritti a quella parrocchia.
In parrocchia di S. Geremia morì nel 1570 Daniel Barbaro, eletto patriarca d’Aquileja. Nella parrocchia medesima, presso Francesco Riccio, sensale di seta, nelle case della famiglia Frizier, al Forno, abitava Marzio Marzi de Medici, vescovo di Marsico, ambasciatore dei Fiorentini presso la nostra Repubblica. Curioso è il suo testamento, 1 febbrajo 1563 M.V., in atti Nicolò Cigrigni, in cui egli confessa come, essendo a Trento, aveva presso in qualità di governante Giovanna figlia del suddetto Riccio, e, tentato dalla carne, l’aveva resa gravida. Fa adunque delle disposizioni a favore della prole nascitura. Come si apprende poi dal susseguente codicillo 29 agosto 1569, tal prole fu una femmina, che chiamossi Mammea, alla quale in quell’epoca era già tenuta dietro un’altra figlia appellata Ersilia, nata dalla stessa Giovanna. Il vescovo Marzi consecrò nel 1573 la nostra chiesa dei SS. Rocco e Margarita, e morì nel 1574, venendo sepolto alla Madonna dell’Orto.
Alla voce Campo notammo le cacce dei tori, che davansi, come in altri molti, anche nel Campo di S. Geremia. Quì però non possiamo dispensarci dal favellare della caccia stupenda, che ebbe luogo nella seconda metà del secolo trascorso in questo Campo, con intervento di persone di alto affare, e del l’ambasciatore Spagnuolo; caccia la quale probabilmente è quella incisa dal Lovisa. Dopo che essa ebbe termine il Nobil Uomo Girolamo Savorgnan, giovane nerboruto e d’alta statura, tagliò d’un colpo a due mani la testa a due tori d’Ungheria nel punto medesimo, senza aver fatto loro segare le corna. Grandi meraviglie ne fecero i beccaj, non già perchè quel gentiluomo recidesse due teste ad un colpo, il che si era fatto da qualche altro, ma perchè nessuno prima di lui si pose al cimento senza aver fatto segare le corna degli animali (Vedi la Cicalata Sulle Cacce di Tori Veneziane, composta da Michele Battaggia).”

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